Le sanzioni adottate dalla comunità internazionale per evitare che l’Iran acquisisca armamenti nucleari non sono una soluzione razionale alla questione. Oltre a non persuadere l’Iran dal continuare l’ampliamento del proprio programma nucleare civile, esse contribuiscono a porlo in un clima d’isolamento internazionale, sia dal punto di vista diplomatico, che di quello economico. Inoltre, le sanzioni, essendo mirate a indebolire le esportazioni di greggio, danno un maggior incentivo all’Iran per continuare a espandere il proprio programma nucleare. La forte crescita demografica che sta attraversando l’Iran in questi anni ha infatti portato un maggior consumo interno di petrolio con una conseguente riduzione delle esportazioni dello stesso. Il programma nucleare rappresenterebbe quindi un’importante fonte energetica alternativa che permetterebbe all’Iran di diminuire il consumo interno continuando ad esportare petrolio.
C’è una differenza fondamentale tra le sanzioni unilaterali imposte dagli USA contro l’Iran e quelle adottate dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea. Le prime non hanno bisogno di alcuna giustificazione; sono infatti motivate dall’ostilità storica che esiste tra gli USA e il regime degli Ayatollah, sorta dopo la Rivoluzione del 1979. In altre parole, è la natura stessa del regime iraniano a giustificare le sanzioni statunitensi in quanto gli USA hanno un interesse a rovesciare il regime persiano. Le sanzioni adottate dalla comunità internazionale hanno invece un altro fine: sospendere il programma ed evitare che l’Iran acquisisca armamenti atomici. Se il programma nucleare abbia scopi pacifici o militari resta un’incognita, quel che è certo è che le sanzioni non stanno facendo cambiare direzione al governo di Khamenei, il quale continua ad essere più che deciso a raggiungere l’autosufficienza energetica.
Lo scopo del programma
Fin da quando gli USA iniziarono a finanziarlo nel 1957, il programma nucleare ebbe lo scopo di produrre una fonte energetica alternativa che riducesse la dipendenza dell’Iran dal settore petrolifero. Da quel momento in poi, tutti i governi che si susseguirono, dallo Scià Mohammed Reza Pahlavi all’Ayatollah Ruhollah Khomeini e i suoi successori, portarono avanti con convinzione questa idea, percependo l’energia nucleare come un investimento a lungo termine di vitale importanza per il futuro dell’Iran.
L’Iran ospita circa il 10% delle riserve mondiali di greggio e può vantare di essere il secondo maggior produttore di petrolio dopo l’Arabia Saudita all’interno dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries), esportando circa due terzi dei quattro milioni di barili che produce ogni giorno. Per capire l’importanza che detiene il settore petrolifero all’interno dell’economia del paese è sufficiente sapere che le esportazioni di greggio fanno capo all’80% delle esportazioni totali e che da esse deriva il 50% delle rendite totali nazionali.
Tuttavia, come risaputo, le riserve mondiali di petrolio si stanno velocemente prosciugando; un’indagine condotta da Jeremy Rifkin stima che il greggio persiano terminerà fra una cinquantina d’anni. Questo dato allarmante deriva dal fatto che la popolazione iraniana è duplicata negli ultimi trentacinque anni, portando ad un drastico aumento nel consumo interno di energia, la quale per l’appunto dipende per gran parte dal petrolio. Il punto è che l’Iran, pur essendo potenzialmente dotato d’immense risorse petrolifere, ha scarse capacità di raffinazione ed è quindi costretto a importare grosse quantità di derivati, carburanti vari, benzina e gasolio. Anche se alcune recenti riforme messe in atto dal governo di Ahmadinejad hanno migliorato la capacità di raffinazione, la dipendenza iraniana dall’oro nero rimane dannosa per il paese. Nel 2010 la EIA (Energy Information Administration) ha stimato che le importazioni di petrolio raffinato costituivano il 70% delle importazioni totali del Paese. Riepilogo, l’Iran esporta una quantità di greggio pari all’80% delle sue esportazioni totali, per poi ricomprarne una notevole quantità, equivalente al 70% delle importazioni nazionali, ad un prezzo molto più elevato, una follia. La domanda interna non solo minimizza le potenzialità di guadagno che il petrolio potrebbe portare al paese, ma rende l’Iran inefficiente dal punto di vista dell’autosufficienza energetica. Non per questo gli USA nel 1974 appoggiavano le ambizioni dello Shah di Persia, il quale sognava di sviluppare una capacità nucleare pari a 23.000MW. Anche se quell’obiettivo risulta oggi distante, il raggiungimento di 6.000MW per il 2020, come più volte dichiarato dall’attuale governo, aprirebbe le porte ad una nuova fonte energetica, utile ad esportare più liberamente l’enorme quantità di greggio di cui l’Iran ha bisogno di liberarsi.
L’impatto delle sanzioni
Le sanzioni internazionali, come anche quelle unilaterali decise dagli USA, hanno principalmente due obiettivi: bloccare l’acquisizione di uranio e tecnologie utili al programma nucleare e isolare l’Iran per quanto riguarda il commercio di petrolio. La ragione per cui si è deciso di colpire il settore petrolifero sta nell’importanza che esso ricopre nell’economia iraniana. “Colpendolo al cuore, il governo sarà costretto ad assecondare le pretese della comunità internazionale se non vuole perdere il supporto popolare e mandare in bancarotta il paese”, avranno pensato gli alleati USA. Questi ultimi, piuttosto, hanno il pieno interesse a indebolire una delle principali potenze del Medio Oriente e vedono la retorica del nucleare come un’ottima opportunità per conseguire i loro obiettivi egemonici sotto la copertura dell’etica della non proliferazione. Negli ultimi anni, l’amministrazione Obama ha drasticamente incrementato la portata della politica sanzionatoria. E’ severamente punita qualsiasi persona che faccia un investimento consistente nell’industria petrolchimica iraniana, o che fornisca l’Iran con servizi, beni, tecnologie o informazioni riguardanti la produzione di derivati del petrolio, o che contribuisca in qualche modo ad accrescere la capacità iraniana di importare carburante. Considerando che il petrolio è d’importanza strutturale nell’economia iraniana e che la domanda interna non è di gran lunga soddisfatta dall’offerta che le enormi riserve petrolifere possono attualmente fornire, le sanzioni stanno avendo un effetto distruttivo per il paese. Il fatto che il Rial si sia svalutato di circa il 50% da quando queste sono cominciate ne è la prova concreta.
Il problema è che danneggiando il settore petrolifero, Teheran non cambierà mai idea sul programma nucleare. In questo momento il petrolio non rappresenta una fonte di ricchezza per l’Iran ma piuttosto un problema grave da risolvere. Non avendo una degna alternativa e non potendo scegliere, Teheran non ha via d’uscita. Le sanzioni non gli stanno “insegnando” qualcosa, quanto piuttosto lo stanno “picchiando” a morte. Senza il settore petrolifero, l’Iran perde la principale fonte di reddito del paese. Inoltre, tutto ciò porta il regime a sentirsi schiacciato sotto il profilo diplomatico, oltre che percepire uno stato di insicurezza e sospetto che sicuramente non favorisce le negoziazioni per un accordo sul programma.
D’altro canto, Teheran è obbligato a cercare un’alternativa al petrolio per sussistere e l’energia nucleare ne risulta la storica candidata. Oggi più che mai il programma nucleare rappresenta la via d’uscita da questa difficile situazione. Se prima l’energia nucleare era la soluzione al problema-petrolio, oggi è diventata l’unica alternativa possibile. Il recente viaggio di Ahmadinejad in Africa Occidentale per siglare accordi di cooperazione nel settore energetico lo dimostra. Il tour del Presidente Iraniano toccherà il Benin, il Ghana e il Niger; stati che sono tra i maggiori produttori di uranio al mondo. L’agenda dell’incontro comprenderà “Educazione, agricoltura, ma soprattutto energia” ha dichiarato il Ministro degli Esteri del Benin Nassirou Arifari Bako. Il governo di Teheran sta cercando di stringere patti commerciali e alleanze politiche con stati facenti parte del Movimento dei paesi non allineati e con chiunque non appoggi le sanzioni decise dagli USA e dal Consiglio di Sicurezza.
L’Iran non si trova in un bivio in cui può scegliere tra il continuare a subire le sanzioni o sospendere il proprio programma, ma in un vicolo cieco. Teheran ha da sempre bisogno del nucleare e le sanzioni non fanno altro che incentivare questa necessità. Tutto ciò è un controsenso perché gran parte della comunità internazionale vorrebbe che l’Iran mettesse fine al suo programma nucleare, che però non può essere sospeso perché le sanzioni stanno bloccando la ragione per cui il programma esiste e cioè il petrolio.
Il programma nucleare non è uno sfizio dell’attuale governo ma una questione di vitale importanza per tutto il paese. Anche se le sanzioni dovessero minare il supporto popolare al partito neo-conservatore, il futuro governo non cambierà politica e il programma nucleare continuerà a svilupparsi. Continuando di questo passo non si farà altro che peggiorare il clima di ostilità che esiste tra l’Occidente e l’Iran, e le possibilità per instaurare un dialogo e arrivare a un accordo condiviso saranno sempre più remote.